Mario Cordoni, CEO and founder of CFE Finance, explains the operation and history of the Club de Paris in Economy Magazine

Il Club di Parigi è un gruppo informale tra organizzazioni finanziarie di 22 Paesi industrializzati. Azzera e ristruttura i debiti delle istituzioni pubbliche dei Paesi in default contratti con le aziende straniere

C’è un club a Parigi dove si parla solo di soldi. I suoi membri non giocano di golf o di tennis, ma si occupano esclusivamente di tassi di interesse, scadenze e importi netti. Insomma, solo cifre. O meglio, i debiti e i crediti, quelli che non possono più essere riscossi. È l’ultima spiaggia dei Paesi indebitati, che non riescono a far fronte ai pagamenti e un’ancora di salvezza per tutti quelle aziende che hanno creduto, sbagliando, nella solvibilità di uno Stato estero. Il club di Parigi definisce se stesso “un gruppo informale di organizzazioni finanziarie”, si riunisce periodicamente per analizzare l’andamento delle operazioni in corso e, soprattutto, tiene sempre le porte aperte per gli Stati che non riescono a far fronte ai propri debiti. Non stiamo, però, parlando di debito sovrano, ovvero di obbligazioni emesse da uno Stato per finanziarsi. Di queste si occupano altri come il Fondo monetario internazionale o dei gruppi ad hoc di obbligazionisti. Più concretamente il Club di Parigi tratta i debiti con l’estero contratti da entità statali, ministeri, banche e aziende pubbliche. Non è finanza, ma economia. Non si parla di investimenti, ma di contratti, di merci, servizi, prodotti venduti, di aziende che hanno esportato e che rischiano di non venire pagate. In questa situazione il Paese debitore bussa alle porte del Club di Parigi dove ad attenderlo ci sono i rappresentanti di 22 Paesi, quelli che una volta si definivano “economicamente avanzati” e, in particolare, quelle strutture a sostegno all’esportazioni che ogni Paese ha messo in piedi. Per l’Italia, ad esempio c’è un rappresentante di Sace Simest, la società di Cassa Depositi e Prestiti, che assicura le operazione di export.

Nei saloni del Club si decide quale parte del credito vantato viene cancellata e quale viene ristrutturata, ovvero convertita  o dilazionata nel tempo e con quale tasso di interesse. La prima viene presa in carico dall’assicurazione, per l’Italia naturalmente è Sace, la seconda, lo scoperto assicurativo, rientra nel mercato. Alla fine delle trattative, le aziende creditrici ottengono tutti i loro soldi, la maggior parte dalle assicurazioni e il resto dalla trasformazione dei loro crediti in un prodotto finanziario venduto a investitori istituzionali.

Cfe finance è una boutique specializzata nel trade finance con sede a ginevra che investe nel cosiddetto “Debito di Parigi”

«Soprattutto in questo periodo di tassi zero o negativi banche, fondi pensioni, assicurazioni sono alla ricerca di prodotti che assicurino un interesse positivo e i crediti derivati dalle operazioni del Club di Parigi sono tra i pochi ad esserlo» spiega Mario Cordoni, fondatore e amministratore delegato di Cfe Finance, una boutique, con sede a Ginevra e 40 dipendenti, operante nel settore dell’investment banking con asset unger management di 1.5 miliardi di euro specializzata in strategie di credito di nicchia, come, appunto il Paris Club Debt, o la Pre-export Finance, Commercial Transaction Structuring ed Eca Financing. «Noi possiamo» continua Cordoni «tenere a libro questi crediti, cederli a una controparte o cartolarizzarli. E si può intervenire comprando quando il Club di Parigi è già stabilito delle regole o cercare di precederlo comprando il debito prima. Quest’ultima opzione può essere molto interessante, ma bisogna avere una grande esperienza nel settore che persino poche banche internazionali hanno, è necessario saper leggere una documentazione che quasi sempre è scarsissima e accettare un certo grado di rischio. Ma può valerne la pena. Alla fine degli anni Novanta, ad esempio, il debito sovrano dell’allora Unione Sovietica costava 5 centesimi, dopo l’intervento del Club di Parigi valeva tra gli 85 e i 90 centesimi».

Il club di Parigi dal 1956 ha stipulato 470 accordi con 99 paesi debitori per un debito complessivo di 588 miliardi di dollari

Tutti pagano. L’Iraq dovrà pagare fino al 2028, l’Algeria ha già pagato capitale e interessi, come l’ex Unione Sovietica, o l’Argentina, ormai un cliente fisso del Club con le sue sette ristrutturazioni del debito, che ha sempre onorato i suoi debiti, almeno finora. Tutti rispettano i patti firmati a Parigi o al massimo tornano sui boulevard della capitale francese per rinegoziare. E verrebbe da chiedersi perché, se la risposta non fosse semplice: il credito commerciale è il carburante che fa girare l’economia del mondo e i meccanismo non può, in ogni caso, incepparsi. Per questo c’è il Club di Parigi. E per questo se non arrivano a un felice conclusione le trattative (non è mai successo) o se i debiti non vengono onorati, nessuno vorrà esportare più nulla in quel Paese e la situazione da difficile diventerebbe impossibile da gestire. Della finanza si può fare a meno, ma delle esportazioni e delle importazioni no.

«Per questo» continua Cordoni» dal 1956, quando per la prima volta l’Argentina accettò di incontrare i suoi creditori pubblici nella capitale francese, il Club di Parigi ha raggiunto 470 accordi con 99 diversi Paesi debitori e trattato un il debito complessivo che ammonta a 588 miliardi di dollari». La lista dei Paesi che sono arrivati al Club è lunghissima. Comprende nazioni piccolissime come Tonga e endemicamente povere come il Sudan o molti Paesi centroafricani. Ma anche altri ormai industrialmente importanti come la Corea del Sud, la CIna o la Thailandia che pagano ancora vecchie ristrutturazioni. O Paesi europei incredibilmente vicini come la Slovacchia, la Serbia o Cipro. O come il Portogallo e il Slovenia  che figurano ancora negli elenchi del Club di Parigi, ma hanno già pagato tutto.

I tempi cambiano e, soprattutto, le economie si evolvono. Ma spesso i Paesi poveri anche se sgravati del loro debito, rischiano di diventare poverissimi. Ovvero tornare a indebitarsi ancora, magari con interlocutori come la Cina o l’Arabia Saudita che non fanno riferimento alle regole del Club di Parigi e che, a volte, vogliono qualcosa in cambio della ristrutturazione del debito, come un porto, la gestione di un’attività o una sudditanza politica. Per questo l’ultimo G20 ha stabilito un quadro molto più rigoroso per ulteriori ristrutturazioni dei debiti. Tutti sanno che la moratoria pandemica sui pagamenti degli interessi e sui rimborsi del capitale concessa a maggio 2020 a 46 Paesi poveri con un debito di 71,5 miliardi di dollari, non basterà e che dal prossimo anno bisognerà intervenire. Ma si farà su basi nuove e principi comuni non solo per i 22 paesi membri del Club di Parigi, ma anche per i non membri come India, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e la Cina che da sola alla fine del 2019 rappresentava una quota pari al 63%  del debito totale verso i Paesi del G20.

E se il debito non è statale si va oltremanica

Se il credito commerciale è assicurato e contratto con una entità statale se ne discute sotto la Torre Eiffel. Se, invece, non ha una copertura assicurativa ed è sulle spalle un privato, come ad esempio una banca non controllata dal governo locale, se ne parla dall’altra parte della Manica, al Club di Londra. Ma in questo caso non ci sono “tesserati” fissi ed è nessun appuntamento scadenzato. Gli incontri avvengono su richiesta del Paese debitore senza alcun mandato formale e gli interessi creditori sono rappresentati da un comitato direttivo composto dai creditori stessi. Il club di Londra è la seconda gamba di un sistema formato anche dalle organizzazioni internazionali che si occupano dei debiti obbligazionari in default, messo appunto alla fine degli anni 90, all’epoca della grande crisi debitoria dei Paesi in via di sviluppo, da Bettino Craxi. L’ex presidente del Consiglio italiano, con il supporto di un comitato scientifico internazionale, redasse un rapporto per la riduzione dei debiti del paesi poveri che a fine 1990 venne approvato all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e determinò un quadro di riferimento ancora oggi valido. I due Club esistevano già ma furono potenziati.

Fonte : https://www.economymagazine.it/news/2021/02/04/news/lultima-spiaggia-e-sulle-rive-della-senna-27109/